La notizia è passata in sordina, ma nel 2018 la Corte costituzionale ha cancellato il divieto di sindacalizzazione dei militari. Abbiamo dunque vissuto per settant’anni in una grave condizione di incostituzionalità di fatto.

L’ordinamento delle Forze armate non si è mai informato allo spirito democratico della repubblica.

Dopo questa svolta epocale, però, le forze più retrive di questo Paese si sono coalizzate per sterilizzare la storica sentenza n. 120/2018 – e sabotare così la sindacalizzazione delle forze armate, con l’approvazione di una normativa che limiti oltremodo i poteri dei sindacati e li ponga in qualche modo al guinzaglio dei vertici militari. Il progetto di legge prevede addirittura che le associazioni sindacali siano assoggettate ad autorizzazione preventiva, che può essere ritirata in qualsiasi momento, e che in caso di comportamento antisindacale da parte dell’amministrazione, sia essa stessa ad auto-sanzionarsi.

Dietro tutte queste limitazioni c’è l’interesse dei poteri forti a mantenere il controllo sull’obbedienza dei militari; non solo del fante o dell’alpino, ma anche del Carabinieri e del Finanziere, che sono autorità di polizia giudiziaria e tributaria.

In assenza di sindacati militari la macchina giudiziaria e tributaria, in astratto, rischia di essere etero-guidata[1].

La Germania da diversi anni ha concesso i diritti sindacali ai suoi militari, perché ha imparato la lezione durante i processi di Norimberga, nel corso dei quali la difesa più ricorrente utilizzata dai collegi difensivi degli accusati era costituita da due sole parole: “ordini superiori”.
Infatti, un Presidente di Corte di Cassazione tedesco mai si sognerebbe di scrivere un libro dal titolo: “La Repubblica delle stragi impunite”.

Anche l’evasione fiscale tedesca è meno importante di quella italiana.

Il processo di attuazione della costituzione per settant’anni è rimasto incagliato al terzo comma dell’art. 52.

E c’è chi vuole che le cose restino come stanno!

Cleto Iafrate

Nota
[1] “l mondo militare, tanto noto quanto ignoto, ha un assetto ordinamentale unico nel panorama costi- tuzionalistico. In pochi conoscono veramente come si articola al suo interno l’esercizio del potere e che doveri (e diritti) vi sono per coloro che ne fanno parte. L’interesse che la letteratura giuridica italiana ha mostrato per la materia nell’ultimo trentennio è stato modesto, nonostante le sue innumerevoli implicazioni.
In particolare, il dovere di obbedienza agli ordini – non solo del fante e dell’alpino, ma anche del finanziere e del carabiniere – è un tema a forte connotazione politica la cui disciplina si presenta come cartina di tornasole per testare le inclinazioni autoritarie ovvero liberali del nostro ordinamento giuridico.”
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